THC e CBD quali le differenze [Cannabis]
Perché il THC è psicoattivo e il CBD non lo è? Come può un cannabinoide alterare la mente così profondamente, mentre l’altro, apparentemente, non alterarla affatto?
Vediamo di capirlo meglio
THC è l’acronimo di (delta-9) tetraidrocannabinolo, mentre CBD sta per cannabidiolo. Si tratta dei due principali composti contenuti nelle piante di canapa (Cannabis) o, per essere più precisi, ai quali si conferiscono la maggior parte degli effetti indotti dalla somministrazione di Cannabis.
Quando parliamo di cannabis ed effetti sul SNC (psicoattività), per le conoscenze attuali (2017), ci riferiamo sostanzialmente a questi due componenti ed i loro recettori nell’organismo.
I recettori noti come CB1, concentrati soprattutto nel cervello e nel sistema nervoso centrale; e quelli noti come CB2 sparsi lungo il sistema linfatico e nell’intestino.
La differenza di base tra CBD e THC risiede principalmente nel modo in cui ciascuno dei due interagisce con i recettori dei cannabinoidi (CB1), un tipo di recettore neuronale accoppiato a proteina di tipo G.
Differenze tra i recettori
I CB1 sono considerati dei recettori inibitori.
L’attivazione dei CB-R influenza infatti, tra l’altro, le azioni di vari neurotrasmettitori come acetilcolina, dopamina, GABA, glutammato, serotonina, norepinefrina e oppiacei endogeni.
Tali componenti (THC e CBD), secondo le ultime ipotesi, avrebbero quindi la facoltà di riportare l’organismo alla quiete dopo stimoli esterni che innescano la produzione di ormoni eccitatori (ad es. l’adrenalina).
- Il THC si lega bene con i recettori dei cannabinoidi CB1.
- Il CBD si lega debolmente (ha una bassa affinità di legame) ai recettori CB1.Ecco la prima grande differenza.
Immaginiamo una spina elettrica, collegata ad una presa a muro. Una molecola di THC è perfettamente sagomata per connettersi con i recettori CB1. Quando tale connessione avviene, il THC attiva o stimola questi recettori CB1. I ricercatori chiamano il THC agonista del recettore CB1, il che significa che il THC funziona per attivare quei recettori CB1.
Analizziamo il THC
Il THC rappresenta il principale costituente psicoattivo della Cannabis e la percentuale presente nella droga ne definisce la potenza. Provoca euforia, alterazione comportamentale, dell’umore e della percezione.
Il THC, inoltre, si comporta parimenti ad un neurotrasmettitore endogeno, ossia prodotto naturalmente dal nostro corpo, conosciuto come anandamide, anche detta “la molecola di beatitudine” (dal sanscrito). L’ Anandamide è un endo-cannabinoide ed attiva anch’essa i recettori CB1.
Gli studi sugli animali ci hanno insegnato che l’anandamide può aumentare l’appetito e aumentare il piacere associato al consumo di alimenti, ed è probabilmente responsabile di alcuni degli effetti gratificanti dell’esercizio fisico (il benessere post attività fisica). L’ anandamide gioca anche un ruolo nella memoria, nella motivazione e nel dolore.
La molecola di THC assomigliando molto a quella dell’anandamide, attiva i recettori CB1, permettendogli di produrre alcuni di quei effetti di “gratificazione”.
Tra gli effetti principali vi sono la nota azione psicoattiva della droga a livello del SNC, ma anche gli effetti sul sistema cardiocircolatorio e immunitario.
- Sul primo, il THC induce tachicardia per inibizione vagale dovuta al ridotto
rilascio di acetilcolina, vasodilatazione periferica e ipotensione per inibizione del sistema
simpatico. - Sul sistema immunitario, invece, gli effetti sono per lo più mediati dai recettori
CB2 e portano ad un’alterazione del bilancio tra linfociti T helper 1 (Th1) e T helper 2 (Th2) afavore dei secondi, la cui risposta pro-infiammatoria viene incrementata. Questo concordacon gli effetti antinfiammatori del THC sulle reazioni mediate dai linfociti Th1, ad esempionella sclerosi multipla, nell’artrite e nel morbo di Crohn. - Un’ulteriore azione del THC da considerare è quella a carico dell’apparato visivo, sul quale
causa una riduzione della pressione intraoculare via recettori CB1 e, per tale ragione, uno
degli utilizzi terapeutici della Cannabis è il trattamento del glaucoma.
Il ruolo del CBD
Il CBD e il suo precursore acido CBDA, per prima cosa , non posseggono attività psicotropa sul SNC,al contrario del THC. Per questa ragione, il CBD non ha azione stupefacente e prodotti
fitoterapici a base di solo CBD vengono liberamente commercializzati anche a scopo
terapeutico come miorilassanti e analgesici.
Il CBD, è classificato (seguendo il pensiero espresso più sopra) come un antagonista dei recettori CB1. Ciò significa che non agisce direttamente per attivare o sopprimere i recettori CB1, ma agisce per moderare le azioni del CB1 che sono attivate da un cannabinoide come il THC (che è l’agonista, come detto), occupando il suo posto a livello del recettore.
In altre parole, quando si assumono parti di pianta contenenti sia THC che CBD, il THC stimola direttamente i recettori CB1, mentre il CBD agisce con una sorta di influenza modulante il THC.
Il CBD interagisce anche con altri CB-Rs recentemente scoperti ed è un agonista per il recettore della serotonina 5-HT1A (vedi qui), che può spiegare alcuni degli effetti antipsicotici e ansiolitici del CBD. Anche attraverso il suo effetto sulle concentrazioni di calcio intracellulari, il CBD potrebbe proteggere i neuroni contro i possibili effetti neurotossici del THC.
E’ interessante evidenziare come il CBD non ha quasi alcun effetto sui normali processi fisiologici. Solo quando interviene uno stimolo (come il dolore o la reazione ad uno shock) o un altro cannabinoide (come il THC) sconvolge il normale “tono” del sistema endocannabinoide, allora si esprime l’effetto del CBD.
Facciamo degli esempi concreti
Esistono molte varietà della pianta di canapa.
Ognuna di questa varietà ha un contenuto differente nei due principi attivi fin qui citati.
Possiamo avere infiorescenze (le parti della pianta a più alto contenuto degli attivi) ad alta concentrazione di THC e bassissima di CBD o viceversa. O avere entrambi i componenti in percentuali vicine tra loro.
Poniamo il caso di avere una infiorescenza che abbia solo lo 0,2% CBD. Il THC ha modo quindi di eccitare i recettori CB1, senza alcuna interferenza da parte del CBD. Il risultato è quello di una particolare sensazione di stimolazione sul sistema nervoso, anche conosciuto come effetto “high” . Allo stesso tempo, si potrebbe essere però esposti ad alcuni degli effetti meno desiderabili del THC, quali ad esempio una maggiore sensazione psicotica a livello di SNC (paranoia).
Nell’uso di una varietà di pianta che contenga, invece, circa il 20% di THC e il 6% di CBD, quest’ultimo dovrebbe avere un effetto mitigante sull’azione del THC. Pur mantenendo gli effetti high, ci sarebbe sicuramente un miglior controllo degli effetti indesiderati a livello centrale. Aspetto, quest’ultimo che è molto ricercato quando si utilizza la pianta a scopo medico, soprattutto nei bambini e nei ragazzi.
In conclusione
Questa differenza nella psicoattività ha avuto profonde implicazioni politiche, nella regolamentazione dell’uso di questa pianta.
Alcuni hanno erroneamente etichettato THC il “cattivo cannabinoide” e CBD il “cannabinoide buono”.
Nella realtà tantissimi studi suggeriscono che molti dei composti presenti nella pianta di Cannabis, lavorino insieme per produrre una sinergia degli effetti.
Questo è conosciuto come “effetto entourage“.
Questo termine è stato coniato dal dottor Raphael Mechoulam nel 1999 e fu ripreso dal dottor Ethan Russo, che nel 2011 ha pubblicato un articolo nel British Journal of Pharmacology in cui descriveva i contributi sinergici dei cannabinoidi, il cui ruolo è da un lato quello di mitigare gli effetti avversi derivanti dalla molecola di THC e dall’altro quello di potenziarne l’efficacia terapeutica.
In buona sostanza, quindi, l’efficacia dell’insieme dei composti presenti nella interezza della pianta di Cannabis supera quella dei componenti presi singolarmente.
“Quando il farmaco è diventato disponibile a metà degli anni ’80, gli scienziati pensavano che avrebbe avuto gli stessi effetti dell’uso di Cannabis. Ma ben presto risultò chiaro che la maggior parte dei pazienti preferiva utilizzare l’intera pianta che assumere il Marinol.
I ricercatori iniziarono a rendersi conto che altri componenti, come ad esempio il CBD, avrebbero potuto avere un ruolo più grande di quanto ipotizzato in precedenza.
(Tratto dall’intervista al
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