Malattie cardiache e morbo di Alzheimer

Oggigiorno il morbo di Alzheimer è considerato una malattia legata all’invecchiamento, proprio come le malattie cardiache; si arriva addirittura a ritenere che entrambi queste gravi condizioni di salute, possano essere un risultato “naturale” del processo di invecchiamento.

È vero che entrambe le malattie possono avere radici in alcune (diverse) predisposizioni genetiche che non possiamo controllare, tuttavia tanto le malattie cardiache quanto il morbo di Alzheimer sono anche alimentate da fattori ambientali che possiamo assolutamente (se necessario) controllare con alcune modifiche dello stile di vita.

Il legame con l’infiammazione

Non tanto quella che ci incurva e ci riempie di dolori, quanto quella silenziosa, che può cominciare senza che ce ne rendiamo conto e avere importanti ripercussioni su diversi organi del corpo, sino ad arrecare gravi danni alla nostra salute.

L’infiammazione silente è uno dei principali fattori di rischio per le malattie cardiache e un predittore molto più accurato di un evento cardiaco futuro rispetto ai livelli elevati di colesterolo (vedi anche Come abbassare il Colesterolo).

Allo stesso modo, i ricercatori hanno da tempo riconosciuto che l’infiammazione cerebrale svolge un ruolo nella malattia di Alzheimer e molti ora credono che l’infiammazione sia la causa, piuttosto che il risultato, dell’Alzheimer.

L’eccessiva attività dei radicali liberi porta a un’infiammazione cronica in tutto il corpo.
Questo perché i radicali liberi possono causare stress ossidativo e liberare citochine infiammatorie, che sono tossiche per le cellule; al punto che oggi si considerano marker sia per l’infiammazione cerebrale che per un aumento del rischio di malattie cardiache.

Le due sfide principali

  • Il ritardo nella diagnosi
  • La mancanza di trattamenti farmacologici neuroprotettivi o curativi.

Diversamente dalle malattie cardiache, la diagnosi del Morbo di Alzheimer avviene, troppo spesso, solo nella fase avanzata della patologia, quando compaiono evidenti sintomi cognitivi.
I farmaci attualmente approvati forniscono solo un sollievo modesto e temporaneo per sintomi come la perdita di memoria.

Oggi si sa che esiste una fase precedente la malattia che va dai 10 ai 20 anni prima che si evidenzino i sintomi. Durante questo lungo periodo, molti cambiamenti biochimici si verificano nel cervello, anticipando il deterioramento cognitivo.
In questa fase pre-clinica, le strategie preventive, come il controllo dei fattori di rischio, la modifica della dieta e l’integrazione nutrizionale, potrebbero ridurre l’enfatizzarsi della malattia.

Controllo dei fattori di rischio dell’Alzheimer

Oltre all’infiammazione cronica, ci sono una serie di altri fattori di rischio di Alzheimer che sono anche importanti da considerare:

  • Età
  • Presenza dell’allele AP4 E4 (un marcatore genetico che aumenta il rischio di malattie cardiache e di Alzheimer)
  • Alta pressione sanguigna
  • Diabete
  • Livelli elevati di colesterolo LDL
  • Familiarità dell’ictus
  • Traumi alla testa

Con l’eccezione dell’età e della presenza dell’allele APO E4 (che può essere determinato mediante test genetici), gli altri fattori di rischio dell’Alzheimer sopra elencati sono in qualche modo sotto il nostro controllo con alcune modifiche del nostro stile di vita.

Ad esempio, banalmente, possiamo cercare di influenzare l’incidenza del trauma cranico. Secondo l’Associazione Alzheimer, potrebbe infatti esserci un forte legame tra gravi lesioni alla testa – in particolare quelle che comportano una perdita di conoscenza – e il rischio futuro di sviluppare la malattia di Alzheimer.
Proteggere la nostra testa allacciando sempre le cinture di sicurezza e indossando un casco se andiamo in moto o durante le attività atletiche/sportive che prevedano la possibilità di infortuni in questo senso, ci aiuta a controllare questo fattore di rischio.

Alzheimer e Insulina

La scoperta fondamentale che l’azione dell’insulina è compromessa nei cervelli dei pazienti con Alzheimer (AD) rappresenta un importante progresso nella nostra attuale comprensione della fisiopatologia di questa malattia.
Inoltre, prove convincenti dimostrano che i meccanismi molecolari che portano alla resistenza all’insulina cerebrale nell’AD condividono una sorprendente somiglianza con quelli coinvolti nella resistenza periferica all’insulina nel diabete e nell’obesità.

Questi includono l’ infiammazione cronica di basso grado e stress del reticolo endoplasmatico.

Prevenire l’Alzheimer con la dieta

Diverse evidenze cliniche / epidemiologiche associano i disturbi metabolici (diabete, ipertensione, obesità) alla demenza.

Più di uno studio (a,b) ha riportato una connessione tra i malati di Alzheimer e livelli più bassi di insulina nel loro liquido spinale cerebrale (notoriamente il cervello e il midollo spinale si nutrono di zuccheri).
Si è constatato che l’incidenza della sindrome da insulino-resistenza (oggi sempre maggiormente presente tra le popolazioni occidentali) è maggiore nei pazienti con malattia di Alzheimer.

Per evitare l’insulino-resistenza e ridurre l’infiammazione nel corpo, conviene seguire un’alimentazione ricca di verdure e fibre, in alcuni casi anche con alti livelli di proteine e grassi buoni, ma soprattutto che limiti i carboidrati raffinati che possono far salire i livelli di zucchero nel sangue.

Livelli più elevati di HDL possono proteggere il cervello

I ricercatori hanno scoperto una connessione tra livelli più alti di colesterolo HDL e una migliore salute del cervello.
Uno studio del 2010 ha concluso che persone con livelli più alti di colesterolo HDL avevano una minore incidenza di sviluppare demenza e morbo di Alzheimer.
Un HDL più alto può proteggere contro l’Alzheimer, anche perché riduce il rischio di ictus e può aiutare a prevenire l’accumulo di proteine ​​nel cervello da parte del peptide amiloide-ß.

Per aumentare i livelli di colesterolo HDL:

  • Smettere di fumare!
  • Mantenere un peso corporeo ottimale (l’obesità è associata a livelli ridotti di HDL)
  • Evitare i grassi trans (che aumentano il colesterolo LDL e riducono i livelli di colesterolo HDL)
  • Consumare più fibre solubili, nonché grassi monoinsaturi e omega-3
  • Fare regolare esercizio aerobico moderato

I prodotti della glicazione (AGEs)

Durante la lavorazione degli alimenti, la temperatura, la durata del trattamento termico e il contenuto di acqua degli alimenti possono determinare diverse reazioni biochimiche, trasformando il contenuto originale.
Temperature più elevate utilizzate per la cottura inducono una serie di reazioni che portano al caratteristico odore, sapore e colore alla pietanza. Tali reazioni sono anche coinvolte nella formazione di prodotti secondari tossici noti come prodotti finali di glicazione avanzata (AGEs).

Gli AGEs sono un gruppo eterogeneo di composti derivati da una glicazione non enzimatica di gruppi amminici liberi di proteine, lipidi o acidi nucleici riducendo zuccheri e aldeidi reattive     [vedi studio].
La glicazione è un processo biochimico che consiste nell’unione tra un carboidrato e una proteina; ciò porta alla formazione di una proteina glicosilata, alterata sia nella sua struttura che nella sua funzione.
Quando il carboidrato si fissa sulla proteina, la ”caramellizza” fino ad irrigidirla, portando alla formazione di queste glicotossine o AGEs (Advanced Glycation End Products) che l’organismo non è in grado di eliminare.
Si formano anche continuamente nel corpo come parte del normale metabolismo in condizioni di stress iperglicemico e / o ossidativo e sono dei fattori incriminati per la genesi di diverse patologie, tra cui:

  •  Malattie Cardiovascolari
    L’accumulo di AGEs può incidere sulla funzione cardiovascolare e può aumentare il rischio d’infarto.
    È stato dimostrato che le LDL glicosilate si legano con più facilità alle cellule endoteliali, favorendo la formazione di placche aterosclerotiche e quindi l’aumento del rischio
    di formazione di eventi trombotici ed ictus.
  •  Disturbi cognitivi
    Elevati livelli di AGEs nel tessuto cerebrale promuovono processi infiammatori e ossidativi; questi, a loro volta, sono ritenuti in grado di causare un deterioramento cognitivo attraverso effetti patologici svolti a livello dei neurocircuiti.
    Esiste dunque uno stretto rapporto che lega gli AGEs alla neuro-infiammazione e quindi alla disfunzione cognitiva (vedi studio)

Per ridurre i livelli di Glicazione

In primo luogo, si devono variare metodi, tempi e temperature nella cottura dei cibi, soprattutto della carne e delle proteine animali in genere. Tra i metodi di cottura da preferire, ad esempio, la cottura a vapore o in forni ventilati.
Inoltre, la formazione di AGEs può essere prevenuta pre-trattando la carne con una soluzione acida come l’aceto o il succo di limone, che interferisce con il drammatico aumento della formazione di AGEs durante l’esposizione al calore elevato.
Ad esempio, la carne di manzo marinata per un’ora in tale soluzione formava meno della metà della quantità di AGEs durante la cottura rispetto ai campioni non trattati.

Nemmeno la pasta, però, è esente dai rischi di sovra-cottura.
E’ stato recentemente dimostrato, infatti, che la pasta mediterranea troppo cotta ha raddoppiato il contenuto di metilgliossale, rispetto al contenuto raggiunto con il tempo di cottura suggerito.

L’inibizione della glicossidazione è stata dimostrata per vari polifenoli, tra cui quercetina, genisteina, acido tannico e acido gallico [vedi studio]. Pertanto, il consumo di una dieta ricca di polifenoli può attenuare in una certa misura la glicazione proteica e l’aggiunta di polifenoli può essere utile nel ridurre la glicossidazione indesiderata nella lavorazione degli alimenti.

Il vero problema è che i composti della glicazione NON sono scindibili. Quindi l’unico modo di intervenire è di inibirne la formazione (quando si è ancora in tempo) e favorirne l’eliminazione tal quali, migliorando i sistemi deputati alla “purificazione” dell’organismo.
Si possono quindi utilizzare estratti vegetali studiati AD HOC, con aggiunta di anti ossidanti e vitamine specifiche, per enfatizzare gli aspetti appena citati.

Conclusioni

Oltre duemila anni fa, Ippocrate coniò la frase: “Lascia che il cibo sia la medicina e la medicina sia il cibo”. Oggi quel messaggio è continuamente rafforzato da prove scientifiche rigorose e da studi osservazionali.
Gli scienziati dell’alimentazione hanno dimostrato il valore peculiare di specifici nutrienti presenti negli alimenti per migliorare lo stato cognitivo e prevenire la demenza.
Inoltre, i risultati secondo cui i prodotti secondari derivati da cibi cotti possono accumularsi nel tempo nel corpo e rappresentare potenziali fattori di rischio per il morbo di Alzheimer hanno fornito una nuova consapevolezza dell’importanza di metodi di cottura sani.

Attualmente, gli effetti della dieta a basso contenuto di AGEs, nel preservare le capacità cognitive nella progressione della malattia di Alzheimer ed in genere l’intervento nutrizionale che limiti l’apporto di carboidrati raffinati, con l’avanzare dell’età, viene considerato una strategia promettente per ridurre l’incidenza di gravi patologie correlate all’invecchiamento.

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